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Archive for the ‘Piratessa Morgan’ Category

La misteriosa fiamma della regina Loana

Recensione a cura di Piratessa Morgan

“E lei come si chiama?”

“Aspetti, ce l’ho sulla punta della lingua.”

Queste sono le prime parole di Yambo, il misterioso protagonista del romanzo che, risvegliatosi da un lungo coma, dopo un incidente stradale ha perso la memoria. Non sa il proprio nome, non riconosce la moglie e i figli, non ricorda i genitori e la sua infanzia.

La moglie così lo invita a tornare nella casa di campagna dove ha trascorso l’infanzia e dove sono conservati i libri e giornalini letti da ragazzo (che sono illustrati nelle pagine del libro), i dischi, i quaderni di scuola. Tutti questi oggetti lo aiuteranno nel recupero di se stesso e della propria identità fino ad arrivare al colpo di scena finale.

Il romanzo si apre con una nebbia fitta di mistero e il lettore è quasi un alter ego del protagonista e viene guidato, anche attraverso le illustrazioni, in quel viaggio a ritroso, quel nostoi (viaggio di ritorno) per dirlo alla greca, in cui il protagonista acquisterà sempre più consapevolezza di se stesso.

Questo romanzo si “costruisce” pezzo dopo pezzo come un grande puzzle, quel puzzle che è la vita stessa così ricca di incognite da svelare.

E’ la curiosità di carpire sempre più informazioni, di svelare il mistero sull’identità del protagonista che mi ha spinta a leggere con tanto interesse questo libro che consiglio davvero a tutti.

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Notre Dame de Paris

Recensione a cura di Piratessa Morgan

“Sono già oggi trascorsi trecentoquarantotto anni sei mesi e diciannove giorni da che i parigini si svegliarono al frastuono di tutte le campane che suonavano a distesa nella tripla cerchia della Citè, dell’Universitè e dell’intera città. Il 6 gennaio 1482 non è però un giorno che la storia ricordi…”

L’autore ci introduce così nella Francia del ‘400 e dopo un’ampia digressione comincia ad introdurre i personaggi principali e a tessere la trama del romanzo.

L’arcidiacono di Notre-Dame, Claude Frollo, si innamora della celebre danzatrice zingara Esmeralda. Incarica perciò il grottesco campanaro della cattedrale, il gobbo Quasimodo, di rapirla.

Victor Hugo è stato spesso criticato per i suoi eccessi, non solo nel suo modo di vivere ma anche nel suo modo di scrivere. E’ ben noto il suo uso di ampie digressioni storiche, descrittive che procedono per elenchi che sembrano a volte interminabili.

Tuttavia egli rimane maestro indiscusso nella caratterizzazione dei personaggi, la cui psicologia così complessa li porta a vivere passioni talmente intense da coinvolgere il lettore in un vortice di emozioni. Per chi è tanto perseverante da superare la prima barriera che può essere di noia, tedio, si troverà calato in una atmosfera così magica, in un mondo che se da un lato sembra lontanissimo dalla nostra realtà, dall’altro sembra così reale, tangibile. Un coinvolgimento che lo scrittore francese è abilissimo a creare in tutte le sue opere.

Il suo periodare, il suo stile mi hanno affascinata oltre alla bellezza e alla tragicità, elementi che spesso convivono strettamente in Hugo, della storia narrata.

Quando si arriva al termine della lettura, questo libro non può essere mai considerato come una cosa a se stante ma lascia qualcosa di sé nel cuore di chi l’ha letto. Almeno per me è stato così e non posso che consigliarne a tutti la lettura.

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Le nebbie di Avalon

Recensione a cura di Piratessa Morgan

Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute. E ora che il mondo è cambiato e Artù, mio fratello e amante, che fu re e sarà re, giace morto nell’isola sacra di Avalon, la storia deve essere narrata com’era prima che i preti del Cristo Bianco venissero a costellarla di santi e di leggende…”

Ecco parte del bellissimo incipit in cui parla una delle protagoniste principali del romanzo, Morgana la Fata, sacerdotessa di Avalon e sorella del leggendario Re Artù. Questo libro infatti racconta la storia di re Artú e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, ma secondo una prospettiva diversa da quella a cui siamo sempre stati abituati, è soprattutto il magico regno di Avalon a fare da grande protagonista. Il cardine del romanzo è il conflitto tra la religione cristiana, ai suoi albori, e l’antica religione britannica, quella celtica, che ha il suo “cuore” e il suo simbolo nell’Isola Sacra di Avalon, dove i Druidi venerano la Dea Madre.

Questo libro è il quarto e ultimo volume che fa parte del Ciclo di Avalon, della scrittrice Marion Zimmer Bradley, che comprende inoltre “Le querce di Albion”, “La signora di Avalon”, “La sacerdotessa di Avalon”.

Marion Zimmer Bradley con la sua abilità ha messo in atto una grandiosa rievocazione di un mondo leggendario e arcano operando una reinvenzione delle leggende arturiane che rende finalmente giustizia alle antiche religioni celtiche surclassate e sminuite dall’imperante Cristianesimo che ha spazzato via gli antichi culti. Pregio da sottolineare è poi il fatto di presentare le figure femminili, vere protagoniste di questo romanzo, come figure non sottomesse al volere degli uomini ma protagoniste e indipendenti. Ne è dimostrazione il fatto stesso che la figura di Morgana che nelle leggende tradizionali appare come una strega cattiva, forse vittima del comportamento oscurantista che il Cristianesimo aveva assunto nel periodo Medievale a cui risale la diffusione delle leggende di Re Artù, sia presentata come una donna forte (pur nelle sue fragilità), indipendente e intelligente

Tutte queste caratteristiche mi hanno fatto apprezzare questo romanzo, uno dei miei preferiti, e che consiglio a tutti di leggere. Un capolavoro della narrativa fantastica e non solo.

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La Mummia

Recensione a cura di Piratessa Morgan

“Per un istante i flash delle macchine fotografiche lo accecarono. Se almeno fosse stato possibile mandare via i fotografi… Erano mesi, ormai, che li aveva alle costole: da quando su quelle colline brulle al sud del Cairo erano stati rinvenuti i primi manufatti.”

E’ così che il lettore viene catapultato nell’Egitto del primo Novecento dove l’egittologo Lawrence Stratford dopo anni di ricerche riesce a trovare la tomba di Ramses il Grande, faraone d’Egitto, potente, temuto e sicuro che il mondo lo avrebbe ricordato… L’egittologo scopre il mistero che si cela dietro alla figura del faraone e apprende una vicenda straordinaria e inquietante: egli scoprendo un elisir che gli dona la vita eterna è ora Ramses il Dannato, vivo dopo la morte e costretto a vagare nei secoli…dominato da una profonda inquietudine e cercando di dominare un’ansia che non può essere placata.

L’immortalità…non è forse ciò che in cuor suo ogni uomo anela? La possibilità di vivere, di vedere il proprio essere perpetuarsi nei secoli… vedere i progressi (o regressi!!) dell’uomo e della scienza? Questo libro mette però in evidenza un altro risvolto della medaglia, ovvero la vita eterna offrirebbe si una conoscenza illimitata se vogliamo ma anche un prolungarsi delle sofferenze, delle ansie e paure e di una inquietudine che non trova nella morte, a volte vista come consolatoria, la fine del mal di vivere.

La passione per l’archeologia (e in particolare l’egittologia) è stato l’istinto primario che mi ha portata a leggere questo libro che ho apprezzato tantissimo. Anne Rice con la sua immaginazione che possiamo definire tenebrosa, romantica, inebriante ha creato una trama straordinariamente affascinante capace di coinvolgere il lettore nelle atmosfere e negli ambienti descritti. Così la nostra mente viaggia dall’Egitto dei faraoni e delle piramidi alla Londra edoardiana del primo Novecento.

Quest’opera tuttavia oltre a coinvolgere il lettore offre spunti i riflessione in particolare, come già detto, sul contrasto vita-morte.

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Moby Dick

Recensione a cura di Piratessa Morgan

Achab, capitano della Pequod, ha giurato di vendicarsi di Moby Dick, una balena astuta e feroce, a causa della quale ha perso una gamba. Moby Dick è il terrore di tutti i balenieri che vedono in lei, con paura ancestrale, l’incarnazione stessa del demonio. Appena salpata la nave da Nantucket, Achab raduna i suoi uomini e li avverte che la caccia del Pequod terminerà solo con la cattura dell’inafferrabile “balena bianca”. Comincia così l’inseguimento che poterà la Pequod sui mari di mezzo mondo.

Herman Melville pubblicò questo romanzo nel 1851 quando, allora trentaduenne, aveva già alle spalle numerose esperienze marinaresche. Aveva già affrontato i pericoli che la navigazione per mari comporta e, guidato dalla sua naturale irrequietezza, si era sempre domandato il “perché”, il senso ultimo della vita umana, alla ricerca di un approdo, un porto sicuro, una verità ultima sulla vita e sull’uomo.

Elemento che ad una lettura superficiale può non essere percepito ma che è fondamentale e va tenuto ben presente.

Moby Dick è alla base di tutta la letteratura marinaresca (seguirono le orme di Melville i successori Conrad e London). Questo però comporterebbe sminuire l’opera che non va considerata alla stregua di un comune romanzo ma masconde, se vogliamo, un significato più profondo.

La navigazione per mari della Pequod rappresenta in sostanza la navigazione dell’umanità nella sua interezza e la sua lotta contro la sorte avversa, Moby Dick, che in questo caso non sarebbe una comune preda di caccia ma rappresenterebbe la forza misteriosa della natura che invita l’uomo alla lotta, come direbbe Hemingway, una lotta in cui l’uomo si ritrova a volte vincitore a volte vinto.

Dunque Melville apre un nuovo interrogativo che attanaglia l’uomo ancora oggi. Esiste il destino? La nostra sorte è già stata scritta?

Le opinioni sono discordanti e mentre in molti hanno affermato che “quemque fabrum esse fortunae suae” ovvero “ognuno è artefice del proprio destino” in questo romanzo si afferma il contrario: l’uomo non può niente contro il “maligno destino” e si trova inesorabilmente sopraffatto da ciò che non può controllare.

Spesso quest’opera è stata considerata “per ragazzi” sminuendo così il suo grande valore artistico, ma è impossibile che i ragazzi possano scoprire certi significati metaforici dell’opera: essi ammireranno il coraggio degli intrepidi marinai, si lasceranno trasportare per mari e oceani sconosciuti dalla loro fantasia, immaginando di essere anche loro a bordo della Pequod e di vivere mirabolanti avventure. Forse in questo sta il valore educativo del libro, nello stimolare la fantasia, e ad una lettura più attenta a riflettere su interrogativi, se vogliamo filosofici, che da sempre l’uomo si è posto.

Proprio per questo Moby Dick è indicato ai lettori più giovani come a quelli più adulti.

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